Giovanni FALCONE e Paolo BORSELLINO

fonte. https://www.focus.it

Nel corso del 1992 persero la vita due storici giudici che combatterono contro la mafia: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

I due morirono a circa due mesi di distanza l’uno dall’altro in due terribili attentati mafiosi: la Strage di Capaci e la Strage di Via d’Amelio, avvenute rispettivamente il 23 maggio e il 19 luglio del 1992.

Giovanni Falcone nacque nel 1939 a Palermo, nel quartiere portuale La Kalsa. Frequentò il liceo classico, successivamente l’Accademia navale di Livorno e si laureò in giurisprudenza nel 1961 a Palermo.

Sposò la sua prima moglie Rita Bonnici, da cui divorziò dopo 14 anni, e in seguito, nel 1986, sposò Francesca Morvillo, anche lei giudice, la quale morì con lui nella strage di Capaci.

Trasferitosi a Palermo nel 1978, dopo l’omicidio del giudice Cesare Terranova, prese un incarico presso l’ufficio istruzione, sotto la guida di Rocco Chinnici, e, insieme a Paolo Borsellino, lavorò ad oltre 500 processi.

Nel maggio 1980 il giudice Chinnici affidò a Falcone le indagini su Rosario Spatola. Si trattava di una ricerca che coinvolgeva la mafia americana: da qui iniziò un grande lavoro di indagini bancarie e patrimoniali.

Paolo Borsellino nacque nel 1940 a Palermo e, come Falcone, frequentò il liceo classico e si laureò con lode in giurisprudenza nel 1962.

L’anno seguente partecipò al concorso per entrare in magistratura, diventando così il più giovane magistrato d’Italia. Il suo primo incarico fu al tribunale di Enna nella sezione civile.

Nel 1967 venne nominato Pretore di Mazzara del Vallo e successivamente di Monreale: qui iniziò a conoscere e combattere la mafia locale.

A seguito del trasferimento a Palermo, nel 1975 entrò nell’ufficio istruzioni affari penali sotto la guida del giudice Chinnici.

Dopo l’omicidio di quest’ultimo nel 1983, a capo dell’Ufficio fu nominato Antonino Caponnetto. Egli, comprendendo le potenzialità del coordinamento delle indagini e dello scambio di informazioni tra magistrati addetti, instaurò il “pool antimafia”, di cui facevano parte, oltre a Caponnetto e Borsellino anche Giovanni Falcone, Di Lello e Guarnotta.

L’istituzione del “pool antimafia” diede una svolta decisiva nella lotta contro Cosa Nostra. Un esempio è l’ordine di numerose misure di custodia, ottenuto grazie alle prime dichiarazioni dei collaboratori di giustizia come Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, che furono colloqui essenziali per l’istituzione del maxi processo.

Nel febbraio 1980 Borsellino fece arrestare i primi sei mafiosi, come Giulio e Andrea Di Carlo, ma è con l’arresto di Tommaso Buscetta che la lotta alla mafia accelerò i suoi tempi, poiché quest’ultimo decise di diventare collaboratore di Giustizia e iniziò a descrivere in modo dettagliato la struttura della mafia.

Le inchieste avviate da Chinnici, proseguite dalle indagini di Falcone e di tutto il pool, portarono a costituire il primo grande processo contro la mafia.

La reazione di Cosa Nostra fu quella di uccidere Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, stretti collaboratori di Falcone e Borsellino. Da quest’episodio si iniziò  a temere anche per loro perciò, furono mandati con le famiglie a soggiornare per qualche tempo presso il carcere dell’Asinara, al fine di concludere le pratiche del maxiprocesso che porterà all’arresto di 475 imputati.

Nel dicembre 1986 anche Borsellino chiese e ottenne la nomina a Procuratore della Repubblica a Marsala.

A sostituire Caponnetto, Antonino Meli venne preferito al giudice Falcone, ma questo innescò amare polemiche perché la scelta fu interpretata come possibile rottura dell’azione investigativa.

Alla decisione si oppose anche Borsellino con dubbi e perplessità, rischiando un provvedimento disciplinare. Tuttavia Cossiga, Presidente della Repubblica, lo ascoltò e fece partire le indagini presso il palazzo di giustizia di Palermo.

Il 14 settembre Antonino Meli divenne capo del pool, mentre Borsellino tornò a Marsala e riprese a lavorare insieme a giovani magistrati.

Iniziò in quei giorni il dibattito per la costituzione di una Superprocura. Per l’istituzione di questa, Falcone andò a Roma come direttore degli affari penali.

Contemporaneamente Borsellino decise di tornare a Palermo nel ’91 diventando Procuratore aggiunto.

Meli non si dimostrò all’altezza in alcune situazioni e i giudici Di Lello e Conte si dimisero per protesta. Così, nell’autunno del 1988 il pool venne sciolto.

Il 21 giugno del 1989 la mafia cercò di uccidere Falcone piazzando un borsone con tritolo in mezzo agli scogli dell’Addaura, a pochi metri dalla villa affittata dal giudice.

L’attentato venne sventato, ma in seguito molti testimoni diretti dei fatti morirono in circostanze sospette. Tra queste, anche il mafioso Luigi Ilardo, informatore del colonnello dei carabinieri, il quale venne assassinato il 10 maggio 1996, qualche giorno prima di mettere a verbale le sue confessioni.

Una settimana dopo l’attentato, il Consiglio Superiore decise di nominare Falcone come procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo.

Dal 1991 fino alla sua morte, Falcone fu sempre più attivo con le indagini, ma non venne appoggiato dal mondo politico.

Intanto a Roma venne finalmente istituita la Superprocura. Sia Borsellino che Falcone si resero conto che poteva essere molto pericolosa per la loro sicurezza.

Nel maggio 1992 Falcone raggiunse i numeri necessari per vincere l’elezione a superprocuratore, ma il 23 maggio, mentre faceva ritorno da Roma verso Palermo, dove lo aspettava Borsellino per festeggiare il suo nuovo ruolo di superprocuratore, venne ucciso in un attentato mafioso.

Delle cariche di tritolo vennero posizionate sull’autostrada e Giovanni Brusca, azionando un telecomando, innescò l’esplosione. Insieme a Falcone e alla moglie morirono anche tre uomini della scorta: Schifani, Montinaro e Dicillo.

La vicenda viene ricordata come Strage di Capaci.

Borsellino ebbe un preavviso già nel ’91 da Vincenzo Calcara, un pentito di Cosa Nostra, il quale gli disse che i piani per la sua uccisione erano già pronti.

Per questa ragione il giudice scelse di rinunciare a una protezione eccessiva, per timore che la mafia scegliesse di rivolgere l’ attenzione verso un membro della sua famiglia.

Applicò inoltre una maggior riservatezza alle indagini e alle notizie che emergevano dagli interrogatori dopo essere venuto a conoscenza di possibili legami fra mafia e politica.

Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli, il giudice, insieme alla sua scorta, decise di recarsi in via D’Amelio, dove abitava sua madre.

In quel luogo furono posizionati in un’ auto 100 kg di esplosivo. Venne fatto reagire provocando la morte di Borsellino e cinque agenti della scorta.

Proprio il giorno prima gli era stato comunicato che sarebbe stato il nuovo Superprocuratore.

La morte di Falcone e Borsellino rappresenta un momento cruciale nella storia del nostro Paese. La vicenda scosse l’Italia segnando un punto di svolta nella lotta contro la mafia.

Le due figure si distinguono per il loro coraggio e l’impegno nell’ affrontare il crimine organizzato e rappresentano speranza e determinazione per coloro che continuano a combattere.

La memoria dei due procuratori vive nel cuore degli italiani e mantenerla tale è fondamentale per onorarli e ricordare che la lotta contro la mafia non si è mai conclusa.

Che la loro morte sia un monito per ognuno di noi a non arrendersi mai e a combattere per un futuro migliore, in cui legalità e giustizia trionfino sul crimine.